Malloreddus con vongole veraci e bottarga
Oggi è la Giornata Nazionale dei Malloreddus per il calendario del cibo italiano, nel sito aifb, l’ambasciatrice Cristiana Grassi con il blog “L’Orata spensierata” vi aspetta per il suo approfondimento.
I malloreddus, definiti anche gnocchetti sardi, sono una pasta tipica della cucina sarda. Hanno la forma di piccole conchiglie rigate e allungate di circa 2 cm , sono impastati con farina di semola e acqua, si mangiano con vari condimenti.
Il termine malloreddu (plurale malloreddus) è un diminutivo di malloru, che in sardo campidanese (Sardegna meridionale e centro-meridionale) significa toro. Di conseguenza, malloreddus vuol dire vitellini.
Nel Sassarese sono chiamati cigiones o ciciones, nel Logudoro macarones caidos o macarones de punzu, nel Nuorese cravaos. I malloreddus sono da sempre il piatto tradizionale più preparato in Sardegna, nelle occasioni più importanti, nelle feste e nelle sagre paesane e durante i matrimoni. Fin dall’antichità le donne hanno preparato questo tipo di pasta e sembra che l’origine sia da ricercarsi nello schema millenario della coltivazione-alimentazione contadina nell’area mediterranea, basata prevalentemente sulla coltura del grano.
La lavorazione manuale dei malloreddus in ambito domestico avveniva impastando la semola di grano duro con l’acqua, e si creavano delle listarelle arrotolate di pasta della lunghezza di circa 15 cm, le quali venivano tagliate a cubetti. Dopodiché si otteneva la forma schiacciando i cubetti di pasta contro l’estremità di un cesto in paglia, detto su ciuliri (il setaccio) per ottenerli rigati, oppure per averli lisci bastava schiacciarli semplicemente contro una base in legno. Se ne ricavava un prodotto panciuto che nell’immaginario del mondo agropastorale assumeva la forma di piccoli vitelli (si pensi a espressioni quali bello grasso come un vitellino).
La Sardegna, dal testo La pasta sarda: cenni di antropologia storica e cultura materiale Alessandra Guigoni [2] Pubblicato su Anthropos e Iatria, anno XVII, numero 1, pp.24-29, “è stata, sin dal Medioevo, un’importante produttrice di pasta secca, che veniva apprezzata ed esportata in diverse regioni europee”. Certo, un ruolo importante l’ha giocato il grano duro e “la Sardegna era grande produttrice“ di grano duro, in modo particolare il famoso Cappelli – continua Alessandra Guigoni “sin dall’epoca fenicia e i sardi, sapienti impastatrici di pane, lo testimoniano i ricchi attrezzi usati per decorare pani e focacce, e le numerose mole asinarie ritrovate nei siti archeologici isolani“. Anche “in epoca moderna esistevano numerosi pastifici in tutta l’Isola, con un declino registrato in epoca contemporanea, cui tuttavia si oppongono medi e piccoli pastifici industriali e artigianali” e, allo stato attuale “esistono una trentina di principali tipologie di paste alimentari, gran parte delle quali ancora in produzione“. Se questa è la situazione, qualcuno, come Serventi e Sabban, si sorprende “dell’assenza di una corporazione sarda di pastai” come invece esiste in altre regioni italiane “vista l’ampiezza e la continuità nel tempo della produzione“. Una spiegazione viene però fornita da Alessandra Guigioni: “a me– affema infatti- l’assenza di una corporazione non stupisce perché veniva fatta a mano, nelle case, dalle donne, dunque non esisteva un’industria della pasta ma un artigianato femminile diffuso ma non organizzato, la qual cosa ha probabilmente impedito la creazione di una corporazione vera e propria“. Si parlava di attestati che dimostrano questa peculiarità sarda, uno di questi è “un documento del 1537, conservato all’Archivio di Stato di Genova, testimonia l’acquisto, da parte dei Genovesi, di ben 37 libbre di macaroni e fideli di Cajari per il costo di 2 lire e 16 soldi per ognuno dei due formati (cfr. Rossi 2009: 88)“. Come si diceva, “le principali paste alimentari sarde sono costituite da paste secche, paste fresche e paste ripiene“ e, ovviamente, merita “una menzione a parte la seada o sebada, un tortellone ripieno di formaggio, fritto e insaporito con miele, che appartiene a nostro modo di vedere sia alle categorie della pasta sia dei dolci“. Ma non solo, oltre ai piatti più conosciuti, bisogna ricordare “i raviolini ripieni di mandorle, e le forme di pasta che vengono fritte e condite con miele o zucchero a velo, meraviglias, uvusones, origliettas, acciuleddi ad altre ancora. Un altro tipo di pasta, ma per esteso, è data da sa panada, una tortina di diverse grandezze tipica di Assemini, Oschiri, Cuglieri ed alcune altre località dell’Isola, farcita con carne, pesce e verdure“. Se si parla di paste alimentari salate non si può non citare “la fregola (fregula, fregua), che esiste in diversi formati, piccola, media e grande, e il suo corrispondente tabarchino, il cascà; la fregola viene cotta in acqua o in brodo, e unita ad arselle (cocciula), formaggio, o consumata in brodo, mentre il cascà, più piccolo, corrispondente del couscous nordafricano, viene cotto al vapore ed insaporito con verdure. Tradizionalmente la fregola viene essiccata al sole o in forno. La preparazione è veloce. La fregola può essere arricchita, come i malloreddus, con zafferano nell’impasto“.
Ingredienti per Malloreddus con vongole veraci e bottarga:
come preparare i malloreddus:
- 400 g di semola rimacinata
- acqua tiepida
- sale fino
- 500 g di vongole veraci
- olio extravergine
- aglio
- bottarga grattata
Impastatre la semola rimacinata con l’acqua tiepida con il sale sciolto dentro, fate un impasto abbastanza duro, lavorabile ma duro, fate riposare un ‘ora.
Riprendete l’impasto, staccate dei pezzi di pasta e stendetela arrotolandola sul tavolo, tagliate dei pezzetti di 1 cm e passateli nel piccolo attrezzo per i malloreddus, una tavoletta di legno rigata, andate avanti così fino alla fine.
Mettete l’aglio, l’olio e il peperoncino in una padella, aggiungete le vongole e fatele aprire. Fate bollire l’acqua e calate i malloreddus, la cottura è un po’ lunga perché la semola rende la pasta dura. una volta cotti prendeteli con una schiumarola e metteteli nella padella delle vongole, spadellate e aggiungete la bottarga grattata, servite e mangiate caldi sono meravigliosi, io li faccio molto spesso, quando ci sono i carciofi, in inverno preparo carciofi e bottarga.
Bibliografia citata
G.Casalis, V.Angius, Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di Sua Maestà il Re di Sardegna,
Nuoro, Ilisso, 2006 (Torino 1833-1856).
G.Deledda, Tradizioni popolari di Nuoro, Nuoro, Ilisso, 2010 (ed. orig.1894).
A.Guigoni, L’alimentazione mediterranea tra locale e globale, tra passato e presente, in A.Guigoni, R.Ben Amara
(a cura di), Saperi e sapori del mediterraneo, AM&D edizioni, Cagliari, 2006.
A.Guigoni, Il vino in Sardegna. Appunti di archeologia e storia della cultura materiale in E. Biondo (a cura di), Cannonau, mito mediterraneo, Cagliari, Svisa, 2012..
Madao, Dissertazioni storiche apologetiche critiche delle sarde antichità, Cagliari, Stamperia Reale, 1782.
S.Rossi, La cucina dei tabarchini, Genova, Sagep, 2009.
S.Serventi, F.Sabban, La pasta, storia e cultura di un cibo universale, Bari-Roma, Laterza, 2000.
[1] Wikipedia [2] Alessandra Guigoni Antropologa
Grazie, Tamara! Un articolo documentatissimo e puntualissimo, con delle foto splendide! Cosa volere di più per celebrare questa splendida pasta sarda? Ancora grazie!
Grazie a te Cristiana, io li faccio da tanto tempo, ho avuto due genitori innamorati della Sardegna quindi ho conosciuto i malloreddus quando ancora qui non si trovavano e mia mamma imparò a rifarli e io appresi la sua tecnica, è stato molto più difficile trovare le informazioni necessarie a scrivere un articolo, ho scomodato Alessandra Guigoni che con la sua solita gentilezza mi ha aiutato, spero di aver reso onore a questa splendida pasta, grazie ancora
Non avevo mai pensato di condirli così… Solitamente uso gli spaghetti con bottarga, vongole e scorza di limone… Mi hai dato una grande idea 🙂
Provali sono ottimi, io li faccio spesso 😉
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