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Timballo di anelletti alla palermitana

Timballo Di Anelletti Alla Palermitana

Timballo di anelletti alla palermitana. Non è il timballo del Gattopardo, quello famoso del principe di Salina conosciuto per il film, parliamo del più semplice e forse meno conosciuto timballo di anelletti alla palermitana. In Sicilia ci sono diversi modi di preparare il timballo oltre a quello del Gattopardo c’è quello con le melanzane e poi c’è quello più semplice di anelletti.

[1] Il nome “Timballo” viene dallo stampo che in origine era semplicemente un contenitore cilindrico con il diametro uguale all’altezza. Questo, a sua volta, ha tratto ispirazione dalla cassa armonica, semisferica, di uno strumento musicale a corde.

Il timballo (o pasticcio) nasce nella cucina tardo medievale, infatti lo troviamo all’incirca nel XIV secolo. L’idea originaria era di cuocere un guscio di pasta, ripieno di paste e sughi molto ricchi, in genere con carni di maiale, volatili o cacciagione. La tradizione oggi è rimasta in molte gastronomie regionali, in particolare in Emilia e in Campania. 

Con il passare del tempo il timballo cambia forma e preparazione. Al classico stampo cilindrico si sono aggiunte forme quadrate, rettangolari, ovali, ad anello e altezze diverse, secondo le esigenze. Anche l’esterno si è modificato e i timballi “moderni” fanno a meno del guscio. Spesso si usa come strato esterno della pasta condita, oppure delle verdure fritte o grigliate, come melanzane a fette, una delle più famose o anche delle zucchine, si fodera lo stampo con le verdure e poi si riempie con la pasta condita in vari modi, fino ad arrivare alla fine dello stampo e si chiude con le verdure, si inforna e si cuoce. Bellissimo oltreché buono, scenico, in tavola fa sempre la sua figura.

Oltre al Timballo di anelletti c’è anche il Timballo di melanzane simbolo della cucina dei Monsù di cui tanto si parla e fantastica ancora oggi. Ma chi erano i Monsù o Monzù a Napoli?

Un po’ di storia.

Durante il regno borbonico nel Sud Italia, tra le famiglie nobili nacque la consuetudine di avere in cucina i cuochi francesi. I signori dal francese “monsieur” abbreviato in Monsù in Sicilia e Monzù a Napoli e dintorni.

[2] I cuochi francesi si portavano dietro anche le loro ricette. Andiamo indietro nel tempo, nel periodo del regno borbonico nel Sud Italia (dal 1734 al 1861). Si racconta che Maria Carolina d’Austria, sorella di Maria Antonietta, quando sposò Ferdinando I di Borbone, sovrano del Regno delle Due Sicilie, insistette con forza affinché la sorella le inviasse i suoi amati e raffinati cuochi francesi. Tra le nobili famiglie del Sud Italia divenne dunque consuetudine la presenza in cucina di una nuova figura professionale: il Monsù.

Quando Palermo divenne la residenza della corte borbonica di Napoli, la contaminazione della cucina francese con i sapori e gli ingredienti  della cucina siciliana, diedero vita a quella che si definisce la Tavola dei Monsù.

Al servizio delle grandi casate nobiliari borboniche, i Monsù erano vere star dell’epoca, a cui bisognava rivolgersi col “don” o con il “voi”; avevano diritto ad un appartamento o ad un’ala del palazzo nobiliare ed erano un vero e proprio status symbol , da non confondersi con i cosiddetti “cuochi di paglietta”, i cuochi di chi, pur ricchissimo, niente aveva a che fare con l’alto lignaggio.

Il Monsù doveva aver avuto necessariamente come maestro un cuoco francese e non rivolgeva neanche parola a chi invece prestava servizio nelle famiglie borghesi.

[1] Taccuini gastrosofici

[2] Storia dei Monsù

  

 

Timballo di anelletti alla palermitana

Ingredienti per “Timballo di anelletti alla palermitana”:
uno stampo forato al centro, da 28/30 cm
Cosa occorre: Ragù, anelletti, caciocavallo stagionato, uova, piselli

Per il ragù alla (quasi) bolognese, ricetta di Dario Bressanini

  • 200 g di bovino adulto macinato sceltissimo
  • 300 g di polpa di maiale + 1 salsiccia
  • 1 tubetto si triplo concentrato
  • 2 gambi di sedano
  • 1 cipolla bianca grande
  • 1 carota
  • 1 spicchio di aglio
  • 2/3 foglie di alloro fresco se lo avete
  • 1 bicchiere di vino bianco
  • 500 ml di latte, tenetelo
  • olio q.b.
  • qualche bacca di ginepro
  • sale e pepe

Come preparare il ragù

Tritate finemente sedano, cipolla e carota, mettetele in un tegame di coccio con qualche cucchiaio di olio, fatelo imbiondire, le verdure dovranno essere tutte impregnate di olio, si dovranno rosolare non bruciare mi raccomando. Mettete la carne a rosolare in un’altra padella così l’acqua evaporerà senza bagnare il soffritto,  giratela, schiacciatela, sciogliete i malloppi tipici della carne macinata e fatela rosolare, deve perdere tutta l’acqua, e quando comincia a fare una specie di fischio mentre la girate vuol dire che è pronta.  Aggiungete il bicchiere di vino bianco. A questo punto unite il triplo concentrato, io lo metto tutto. Adesso aggiungete la parte grassa, il latte. Girante bene e mettetene quanto ne assorbe, potrebbe servire tutto, bassta che ne aggiungiate un po’ alla volta, lentamente. Fate evaporare l’acqua presente nel latte e a questo punto salate e pepate, quindi le foglie di alloro e le bacche di ginepro, abbassate la fiamma coprite e fate cuocere almeno 3 ore.

Per il Timballo:

  • 500 g di anelletti
  • 3 uova sode
  • 300 g di pisellini primavera cotti
  • 150 g di un buon caciocavallo affumicato a fettine
  • 100 g di caciocavallo grattugiato (lo stesso di cui sopra)
  • 50 g di parmigiano reggiano stagionato
  • 50 g di pecorino romano
  • burro e pangrattato per lo stampo

Lessate gli anelletti seguendo le indicazioni scritte nella busta, vengono considerati i minuti in cui andranno in forno, una volta pronti scolateli e metteteli in una grande zuppiera con il ragù, i piselli, i formaggi grattugiati e girate tutto molto bene con un cucchiaione.

Imburrate abbondantemente lo stampo e passateci il pangrattato poi cominciate e mettere nello stampo l’impasto che accomoderete premendo molto per farlo aderire bene e lasciare meno spazi vuoti, che comunque si vedranno dopo. QUando avrete messo all’incirca metà impsto accomodateci le fette di caciocavallo e le uova sode, io le ho divise in 4 ma se trovate quelle di quaglia vanno bene anche intere. Una volta messo tutto l’impasto nello stampo, spolveratelo di pangrattato sopra e premete molto, aggiungete dei fiocchetti di burro e infornate per 50 minuti a 180°C. Sarà pronto quando avrà una crosticina dorata sopra.

Io l’ho girato subito in un piatto di portata, è molto pesante fate attenzione. È di una bontà unica.

 

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